venerdì 6 febbraio 2015

NEEMIA E LE MURA DI GERUSALEMME. Di Daniele Malerba

La Bibbia ha una propria potenzialità "terapeutica". E’ un libro che parla continuamente all’uomo di se stesso, è uno specchio dell’immagine umana. E parla della presenza di Dio nella vita dell’uomo. Diventa dunque una metafora delle difficoltà dell’uomo nel vivere la propria vita. Potrebbe essere letto con la stessa ottica dei “Sermoni” di Sant’Antonio in cui ogni più piccolo elemento è presentato in modo metaforico.
Non sono un esegeta, non sono in grado di fare esegesi. Tuttavia quando leggo la Bibbia non posso fare a meno di confrontare ciò che leggo con ciò che faccio nella mia professione, alla ricerca del filo che lega le due cose: la crescita dell’uomo e la ricerca della sua sanità psichica. Vi sono nella Bibbia elementi che sembrano utili metafore del percorso di guarigione psichica. Molti di questi elementi li ho trovato nella storia di Neemia.
G.Dorè, Neemia ispeziona di notte le mura di Gerusalemme
La storia di Neemia.
  La storia di Neemia, come quella di un terapeuta, comincia con un atto di commozione: Neemia si commuove di fronte alla “grande miseria e umiliazione” in cui versano i superstiti di Israele (Ne 1, 5-4). Gli viene riferito che “le mura di Gerusalemme sono piene di breccie, le porte distrutte dal fuoco” e Neemia si commuove e prega per questo (Ne 1, 5-10), alla fine del capitolo aggiunge “Io ero allora coppiere del re”. Si trova qui, nel capitolo 1, fino a Ne 2,9, l’incipit della storia di Neemia. 
Il “paziente” Gerusalemme.
Inizia, in Ne 2, 10, l’incontro di Neemia con la città di Gerusalemme, che sembra essere il paziente di questo particolare terapeuta. Interessante che il versetto inizia con due elementi contrapposti: a) qualcuno si arrabbia e b) si sottolinea che Neemia avrebbe ricercato “il bene dei figli di Israele”, questi due elementi indicano già la lotta tra colui che vuole il bene del paziente (il terapeuta) e i nemici del paziente. Si vedrà che il paziente ha nemici esterni, che spesso sono rappresentati, in un “setting” terapeutico, dal sistema familiare – reale o interno al paziente -, talvolta sociale, che ha un suo proprio interesse a mantenere lo status quo della malattia, e da resistenze interne al paziente, a causa della paura del cambiamento e dei vantaggi secondari alla patologia.
Inizia ora il percorso terapeutico (Ne 2, 11): Neemia si alza “di notte” ed esplora le mura di Gerusalemme. Esplorare le mura significa capire cosa i pazienti vedono di se stessi, quali sono i varchi dai quali passano le identità che gli altri vogliono imporre al paziente, quali sono i rischi e i pericoli della terapia, quanto è grande il lavoro da fare. Sembra un primo iniziale percorso diagnostico.
L’alleanza con il paziente.
Dopo questa esplorazione Neemia fa qualcosa che sembra un contratto (Ne 2, 17-19) in cui descrive la situazione del paziente al paziente stesso; interessante come si identifica con questa condizione (“voi vedete la sciagura in cui ci troviamo …”), quasi che la terapia del paziente fosse anche una terapia di sé, propone l’inizio della terapia come inizio di ricostruzione dell’identità di se (“Venite, ricostruiamo le mura di Gerusalemme…..”) e del rapporto con gli altri (“non saremo più oggetto di derisione”), ma anche che lui può farlo (“Raccontai loro come la mano benevola di Dio era stata sopra di me….”). Il popolo accettò la terapia e, nota la bibbia “presero coraggio nel dar mano a quest’opera egregia”, cioè loro decidono di costruire, non è il terapeuta a costruire ma lo stesso paziente, il terapeuta è un catalizzatore, non è lui che costruisce, fa da volano, e per costruire il paziente deve avere coraggio, l’unica vera qualità che si chiede al paziente per crescere è il coraggio, l’unico vero ostacolo sembra essere la paura.  




Nel versetto successivo (Ne 2, 19) emergono le resistenze sotto forma di coloro che si fanno beffe dei costruttori della città, fanno passare il messaggio che non ce la faranno mai, che il compito è impossibile, Neemia risponde rimbeccando che avremo buon esito e non ci sarà parte per loro nell’opera, la bibbia fa riferimento a Dio, che noi potremmo tradurre come terapeuti in capacità terapeutica e fiducia in sé, ma io non dimentico che Dio non ha solo una dimensione simbolica, ha anche una dimensione simbolica.


Alla ricerca di un’identità.
Così il paziente Gerusalemme si mette all’opera (Ne 3, 1-33), richiamando le sue forze e cominciando a costruire le porte con “battenti, serrature e sbarre”. Il che indica come è necessario conoscere, mettere ordine e organizzazione l’interno del Sé per poter costruire la propria identità, e come ogni cosa deve avere posto e luogo, e l’una dopo l’altra in una dimensione temporale ordinata. 
Naturalmente i nemici, dinanzi all’opera di ricostruzione, una volta accortosi che si sta facendo sul serio e che le cose vanno avanti, non tacciono (Ne, 33-35): “Quando Samballat venne a sapere (…) s’indigno e si adirò terribilmente”. Interessante il termine indignarsi, come se fosse un’offesa ad altri. La guarigione è un atto che porta a indignazione morale, come fosse una cosa sbagliata; quando i nemici della guarigione vedono che stai meglio ti accusano di essere guarito, come se rubassimo a loro qualcosa che gli appartiene, poiché non riconoscono al paziente il diritto alla propria identità.
L’altro attacco è in termini delle capacità e con minacce di distruzione. Come dire: tanto non ne siete capaci. ”Che cosa stanno facendo questi miserabili Giudei? ... Costruiscano pure, ma se uno sciacallo gli si lancerà contro, rovescerà il suo muro di pietra.” (Ne 3, 34). Quindi le resistenze sono i pensieri identitari che gli altri mettono nel paziente: “tu sei sbagliato, non sei capace, noi ti distruggeremo”. Sono tutti commenti aggressivi, sia legati alla propria immagine di se, sia legati allo specchio che la realtà ti dà, in un circolo vizioso terribile per cui meno ti senti capace più la realtà finisce con il dirti che non sei capaci, profezia che poi si autorealizza.
Qui arriva l’intervento del “terapeuta Neemia”, a difesa dei costruttori, facendo luce su cosa è giusto o sbagliato e facendo appello a Dio, definendo cioè ciò che è tuo e ciò che è degli altri, restituendo così l’identità al paziente rispetto agli attacchi che per ora sembrano solo esterne, spesso i pazienti riportano le idee di altri come fossero proprie, questo intervento aiuta il primo passaggio, quello più esterno, cosicché si riesce a fare il primo passo, e “il popolo costruì le mura fino a mezza altezza”, da notare che “la volontà del popolo era di agire”, Neemia incoraggia il popolo a fare ciò che realmente vuole, il bene per sé, e per ora vi è coerenza nella volontà del popolo, nessuno può guarire nessuno se il paziente non vuole guarire.
Qui inizia una lotta tra la paura del popolo, che sotto le minacce dei nemici comincia a perdere la fiducia in sé, e Neemia che si sforza di organizzare misure efficaci e bene organizzate, soprattutto li invita a restare dentro di sé (Ne, 4, 30) e uniti. Ma arriva un più importante pericolo per il percorso di guarigione, ed è quello interno: da questo punto di vista è interessante tutto il capitolo 5, ci invita a pensare che il paziente deve rinunciare ai suoi vantaggi secondari, che sono di una parte del sé a scapito di altri parte del sé, che li usano per ottenere vantaggi da parte della realtà, ma alla fine a scapito di se stesso (la metafora è definita da una parte del popolo che sfrutta un’altra parte del popolo per ottenere vantaggi personali), e come l’intervento anche in questo caso sia di fare luce, chiarezza, denunciando vantaggi e svantaggi delle varie parte di sé, Neemia così accusa e difende la parte più debole del popolo redistribuendo in modo più adeguato le risorse interne, permettendo al popolo di sottrarsi al ricatto dei suoi nemici.
In ogni caso il completamento delle mura (Ne, 6), lasciate fino ad ora a metà, viene proprio dopo questa rinuncia ai vantaggi secondari, che vanno prima scoperti e denunciati. A questo punto la strategia dei nemici cambia, e l’unico modo che hanno per ostacolare è attaccare il “terapeuta”, per farlo si invita Neemia altrove, fuori dalla città, si attacca la fiducia nella terapia. Interessante che (in Ne 6,9) si spiega la verità della cosa: “in realtà tutta quella gente voleva atterrirci”, così, ancora una volta, l’ostacolo alla guarigione è la paura, la sfiducia nella terapia e l’attacco al terapeuta. Alla fine però le mura sono costruite, l’identità di base è pronta e sono i nemici a essere spaventati (Ne 6, 14-15). Ma il lavoro non è finito, qualche paura resta e, inoltre bisogna costruire l’interno della città.
In altre parole una volta definita la differenza tra sé e gli altri, una volta costruita l’identità, ancora il lavoro non è finito; va costruito e organizzato al meglio l’interno del sé, riempirlo di cose utili (Ne, 7), riportare a se le cose che ci appartengono e farle prosperare. Poi si decide come si può funzionare (Ne, 8), si riconosce il lavoro fatto (Ne, 9, giornata di espiazione) e si continua la propria crescita. La tentazione della disgregazione tuttavia continua sempre, cioè il pericolo di fare entrare stranieri nella nostra identità porta alla necessità di mantenere sempre un certo livello di attenzione e di guardia, di dare regole in grado di fronteggiare una difesa.

Nessun commento:

Posta un commento